martedì 14 settembre 2010

Prima che sia giorno


Era una di quelle notti invernali dal cielo terso. Una notte da meno dieci, col vento che spaccava la faccia e un'esplosione di stelle a punteggiare il cielo.
L'uomo guidava lentamente la sua lunga berlina nera. Rispettare i limiti, la prima regola.
Il finestrino leggermente abbassato aspirava fuori il filo di fumo azzurrognolo del suo cigarillo.
La tangenziale era deserta. Imboccò la rampa d'uscita per una zona industriale ormai inesistente. Restavano in piedi una mezza ciminiera rossastra e un enorme capannone cadente, dal tetto di eternit sfondato.
La puzza di concimi chimici si fece strada sottovento, da qualche campo nei dintorni. Il fetore acido gli riempì le narici e immediatamente un conato gli stritolò l'esofago. Gettò fuori il mozzicone e chiuse il finestrino.
Mentre rallentava giunsero alle sue spalle alcuni colpi ovattati. Alzò il volume della radio e proseguì indifferente.
S'infilò in una stretta strada sterrata sotto un cavalcavia. Spense i fari e proseguì per un paio di minuti. Poi i vecchi muri devastati gli sbarrarono il passo, come apparsi dal nulla. Il cemento si apriva qua e la in grosse fenditure. Le armature metalliche sbucavano dalle pareti come ossa fuoriuscite dalla carne.
Fermò l'auto e si chinò, tastando sotto il sedile. Il contatto con la canna della pistola gli passò la solita sensazione di potenza. Recuperata l'arma scese.
Guardava il portellone lucente del bagagliaio. Una scarica di colpi giungeva continua, disperata. Aprì il baule e l'uomo all'interno si immobilizzò all'istante. Era in canottiera e boxer. Ai piedi un paio di mocassini sfondati. Obeso, piccolo e con una sola striscia di capelli untuosi a contornargli la testa. Le mani, dietro la schiena, e le caviglie erano immobilizzate con diversi giri di spesso nastro adesivo. L'estremità di uno straccio appallottolato gli sbucava dalla bocca, dilatandola innaturalmente.
La luce della luna nuova era abbastanza intensa perchè l'uomo con la pistola potesse vedere la fronte del piccoletto, sudatissima nonostante la temperatura.
-Ora ascoltami bene. Adesso ti slego i piedi e poi ti faccio uscire. Se tenti di scappare ti sparo in testa. Capito?
L'interrogato annuì con convinzione ma appena l'altro gli liberò le caviglie iniziò a scalciare verso l'alto. L'uomo con la pistola fu colpito alla tempia da una pedata. Un po' rintontito, sollevò di peso il piccoletto e lo gettò sulla terra gelata ai suoi piedi. Poi gli sferrò a sua volta due calci, di punta, colpendolo al plesso solare con molta forza.
L'uomo a terra sbiancò e ritornò immobile. Quello con la pistola estrasse dal bagagliaio una pala da giardino sbeccata. Afferrò il suo ostaggio per un braccio e lo trascinò lontano dalla macchina.
-Bene, adesso che ci siamo spiegati, è ora di mettersi al lavoro.
Girò il piccoletto di schiena e gli liberò anche le mani; questa volta non ci fu nessuna reazione. Il pelato indicò soltanto lo straccio che aveva in bocca.
-Vuoi togliertelo? Ok. Ma tu mettiti a gridare - gli fece dondolare la pistola davanti al naso- e ti apro la testa in due.
Si tolse di scatto lo straccio. Fece un profondo respiro ma non urlò. Iniziò invece a tossire come una mitragliatrice e, quando riusci finalmente a fermarsi, si buttò in ginocchio.
-Per favore! Per pietà!
-Pietà? Ma quale pietà? Infame! Ci dovevi pensare prima di venderti a quelli là.
-Ma è stato per una sola volta. Mi hanno costretto e poi... Poi pensa a mia figlia. Non dico a me, ma a mia figlia!
-Fai schifo. E va bene facciamo così...
L'ometto si gettò sulle gambe del suo sequestratore abbracciandole. Quello con la pistola si ritrasse schifato.
-Non toccarmi più, merda, o ti spacco le ginocchia a palate e poi ti mollo qua a morire di freddo.
-Io volevo solo...
-Zitto. Zitto e ascolta. La pala ce l'hai, comincia a scavare. Una bella buca profonda. Deve arrivarti almeno fino all'uccello. Se quando sorge il sole non hai finito ti sparo in testa e tanti saluti. Se fai in tempo e il tuo lavoro mi soddisfa, potrei pure decidere di lasciarti andare. Hai più o meno due ore.
-Ma come... Tu vuoi che mi scavo la fossa da solo ma se sono abbastanza veloce poi non mi ci metti dentro? Ma che cazzo dici...
-Qui è come al cimitero comunale, bello. Lo sai quanti come te ne ho in lista per un loculo? Se non sei tu sarà un altro. Una bella buca mi torna sempre utile. Ma se non hai voglia di faticare facciamo prima...

Il piccoletto iniziò a battere a terra con la pala. Inizialmente sembrava che non riuscisse neanche a scalfire il suolo, ma poi ci mise più energia e cominciò a smuovere un po' di fanghiglia.
Dopo circa un'ora, mentre l'uomo con la pistola camminava avanti indietro fumando (a tratti tabacco e a tratti semplicemente la condensa del suo respiro), la buca gli arrivava poco sotto le ginocchia.
-Devi allungarla... Vabbè che sei una mezza sega, però così è troppo corta.
L'altro non diede segno di aver sentito e continuò a lavorare febbrilmente, sempre più stanco ma spinto dalla forza della speranza. O della disperazione.
I primi raggi di sole lo pietrificarono. L'uomo con la pistola si avvicinò alla fossa, quello dentro gli dava le spalle, distrutto e ricurvo sul manico della pala.
-Girati. Fammi vedere.
Lui si voltò tenendo lo sguardo basso. Le scarpe sporche di terra, le gambe nude e storte. Il sudore si alzava dalla sua schiena formando volute di vapore nell'aria gelida dell'alba.
-In effetti ti arriva proprio all'uccello.
Il piccoletto sorrise.
-Allora fammi uscire! Ti prego, sto crepando di freddo.
-Eh però... Appunto... Crepa!
Un colpo solo, in mezzo agli occhi, e il piccoletto andò giù. La pala sul suo ventre rigonfio, la schiena poggiata contro il bordo terroso.
L'assassino saltò dentro la fossa. Sistemò la pala in verticale, in un angolo. Poi afferrò il cadavere per le caviglie e lo trascinò indietro, in modo che fosse ben disteso sulla schiena.
Si arrampicò fuori. Le punte dei mocassini superavano il bordo della fossa di qualche centimetro.
L'uomo con la pistola si accese un cigarillo. Poi imbracciò la pala e inizò a riempire il buco di terra bagnata.
Guardò il morto scuotendo la testa.
-Te l'avevo detto che era troppo corta. Stronzo.
...Continua?