venerdì 8 ottobre 2010

Una serata fredda


Camminavo sotto i portici di Piazza Vittorio. L'autunno era arrivato, una volta tanto, del tutto improvvisamente.
Pioveva di una pioggia fine che sembrava cadere in orizzontale. Mi arrivava in faccia anche lì, sotto il porticato, e mi faceva sorridere. Ho sempre amato la pioggia.
Erano forse le sei e si era fatto quasi buio.
Giunto alla fine della piazza mi alzai il bavero e attraversai la strada. Non avevo niente da fare, nessuno che mi aspettasse a casa per parlare della giornata. La Gran Madre, dall'altro lato del Po, mi guardava vestita delle sue luci esagerate. Pensai di fare ancora due passi fin là prima di buttarmi su un tram a caso.
Al centro del ponte mi fermai. Poggiai le mani sul parapetto metallico immaginando in lontananza il parco del Valentino. Il cielo era carico, per quel che potessi distinguere, di ammassi neri che non mi sembravano nuvole ma felici promesse d'inverno. Non aveva smesso di piovere un attimo da più di dieci giorni. Sperai che continuasse.
Acqua, acqua e ancora acqua. Dal cielo, per le strade, sui tetti, nei fiumi.
Il fiume, appunto. Era gonfio, potente, inarrestabile. Era torbido, d'un marrone melmoso. I detriti, portati da chissà dove, erano stati ammassati dalla corrente contro i pilastri del ponte. Da qualche giorno lo avevano chiuso al traffico. Le luci dei lampioni balugginavano nella nebbia e morivano in pallidi fasci sul pelo dell'acqua.
Chiusi gli occhi ed inspirai tutto quel che potevo. La città non c'era più. Alla mia sinistra la presenza silenziosa della collina mi proiettava altrove. Dimenticai il traffico, lo smog. Dimenticai le voci.
Mi investì, o immaginai che lo facesse, un odore di foglie cadute, morte e poi bruciate.
Ero appagato, in pace con me stesso per qualche istante.
Riaprii gli occhi e la vidi. Una mano, bianchissima, sbucava dai flutti limacciosi. Gridai. Nulla si mosse; le due strade ai miei fianchi continuavano a farsi i fatti loro.
La banchina sull'argine destro era sommersa. Non la considerai.
Di sotto intanto, dietro la mano, era comparsa una testa scura, annaspante e confusa.
Mi sporsi, sembrava un uomo. Si arenò, in qualche modo, contro qualcosa di scuro poggiato all'ultimo pilone del ponte, alla mia sinistra.
Da quel lato forse avrei avuto qualche possibilità. Decisi di scendere. La stradina sterrata che conduceva all'argine, la vidi mentre correvo sul ponte, era sommersa per metà. Non sapevo cosa avrei fatto una volta arrivato lì.
Alla fine del ponte vidi, a pochi metri, una vecchia intabarrata in uno scialle fucsia; portava a spasso un volpino candido e zuppo. S'inchiodò sul posto osservandomi stranita.
È caduto uno in acqua, le urlai. Chiami qualcuno. Sperai non fosse sorda. Non mi fermai a controllare.
Scesi scalpicciando nelle pozzanghere del sentiero ghiaioso. Inciampai e caddi a faccia in avanti, scorticandomi le mani. Mi sollevai in fretta pensando assurdamente che mi sarei perso I Simpson in TV.
L'acqua gelida mi arrivava già alle caviglie. Scrutai in quella luce incerta pensando che fosse ormai tardi.
Poi lo avvistai, avvinghiato disperatamente ad un tronco che, sotto il suo peso, si stava pericolosamente allontanando dalla base del ponte.
Il pilastro, alla mia destra, si congiungeva alla boscaglia scoscesa, di fianco alla stradina. Mi gettai tra i rovi cercando di scacciare il pensiero di tutti quei cespugli spinosi e di quel che potessero nascondere. A fatica giunsi a puntellarmi con le mani aperte sulla pietra bagnata.
Poggiai un piede tremante sul groviglio di sterpi e legna. Sembrò reggere. Ci salii sopra tenendo una mano poggiata al pilastro.
La corrente, vista da lì, mi terrorizzò. D'improvviso odiai la pioggia.
Dopo un paio di metri, sospeso su quella specie di passerella, giunsi all'estremita del tronco. Mi ci sdraiai sopra. Il poverino, dall'altra parte, mi vide e cerco di sporgersi verso di me.
Fu un errore. Percepii uno scossone sotto la pancia. Mi slanciai in avanti e gli sfiorai le dita. E questo fu tutto.
Il tronco si sganciò dal resto dei detriti. Mi ritrassi d'istinto scivolando indietro e mi ritrovai seduto sui rami bagnati, con la schiena poggiata al pilone.
Il tronco passò sotto il fornice come una zattera impazzita.
Sconvolto, non so come, risalii sul ponte. Corsi sul lato opposto e mi sporsi più che potei. Lontano, troppo lontano, itravidi una sagoma scura e inerte. Solo il vecchio albero morto.
Rimasi là, con le mani poggiate sul metallo scrostato della balconata.
Qualcuno si avvicinò da destra. Era la vecchia col suo cagnetto più candido e inzuppato di prima, mi parve.
Ho chiamato l'ambulanza, mi disse. Stanno arrivando. L'ha trovato?
La guardai per un attimo senza sapere cosa dire. Poi abbassai la testa iniziando a singhiozzare sommessamente. Le mie scarpe nuove erano piene di fango.
La vecchia mi poggiò una mano sulla spalla senza aggiungere altro.
Dalla piazza giunse un rumore di sirene.
...Continua?