venerdì 20 maggio 2011

Flussi d'incoscienza


Avete mai pensato a quante volte le cose che facciamo siano, onestamente e in ultima analisi, dettate da nostri reali bisogni e volontà?
Voglio dire,qualcuno si è mai fermato a riflettere un secondo sul perché ci si affanni tanto per fare tutto? Ho spesso il sospetto che si tratti, nove volte su dieci e molto banalmente, più per avere un giudizio positivo dagli altri che per il nostro reale benessere, in quanto esseri umani. Schopenhauer ha detto che "Quasi la metà di tutte le nostre angosce e le nostre ansie derivano dalla nostra preoccupazione per l'opinione altrui". Io sono quasi convinto di credere, arrogantemente, che si sbagliasse. Nel senso che spesso quello che facciamo, quello che pensiamo, quello che fingiamo di essere, è completamente dettato dal giudizio altrui. Bell'affare.
Ma non sarebbe meglio, e anche meno faticoso, semplicemente fottersene? Capisco che non sempre sia così possibile, che vivere come davvero piacerebbe ad ognuno possa essere, se non un utopia, almeno un rischio per gli altri. Ma io intendo, sopravvivere senza violentare se stessi, quello che davvero si è nel proprio intimo, ad ogni sospiro di vento. L'omologazione mi preoccupa perché la ritengo capace di inaridire anche le menti più prolifiche e brillanti, in grado di distruggere con le sue arrugginenti ciarle tutta la la linfa che può scaturire da un cervello pensante.
Ma se siamo persone, o almeno ambiamo ad esserlo, come possiamo accettare un compromesso così umiliante? Come possiamo sacrificare le nostre preziose individualità in nome di un bel paio di scarpe? Non voglio fare del qualunquismo prendendomela con la moda, è solo un esempio. Dico però che se fuggiamo dal nostro essere unici e inimitabili a vantaggio del solo quieto vivere, ben presto raccoglieremo i frutti della nostra decadenza accondiscendente, che già si avvia a degli apici sconfortanti, a ritmi che inquietano.
Non è un ode al pessimismo ma solo una constatazione del disadattamento costante che mi trovo a fronteggiare. Io, come tutti, ne sono parte. Cerco di dissociarmi, magari con questo rigurgito di parole, e ottengo invece di sentirmi chiamato ancor più in causa, per il solo fatto di parlarne, che mi fa sentire autorizzato a formulare accuse.
E allora, stando così le cose, l'ultima risorsa, che, mi rendo conto, ho già citato troppe volte, è la fuga. Non perché in un altro luogo io sia sicuro di poter trovare un qualche eden. Ma soltanto, e già questo spero non sia un mio personale miraggio, perché condizioni leggermente più "primitive", nel senso di meno sofisticate (alterate, corrotte), possono aiutare l'uomo ad ascoltare con più attenzione (o a sentire per la prima volta) i suoni che vengono dal suo "di dentro". Perché è colpa di questo ronzio maledetto, che non cessa un secondo col suo trapanante e prepotente cicaleccio , se ci troviamo tutti, chi più chi meno, a dover tener chiusa la bocca più di quanto ci piacerebbe, per non ingoiare chili di merda.
...Continua?