Adesso parte. Perché non parte? Ecco che parte.
Questa volta sono stato furbo: mi sono infilato negli ultimi due posti "ciechi", nella fila destra della carrozza, con il mio bel trolley a fianco, così nessuno si siederà accanto a me.
Illuso. Dovrei saperlo ormai che la partenza è ingannevole, è alla seconda stazione che salgono tutti (ma proprio tutti) e allora comincia il delirio.
Gare non dichiarate per conquistare un posto a sedere, spallate neanche troppo dissimulate, grida, sistemazioni e poi gli sguardi; quelli fieri di chi si è impadronito del suo agognato posticino e quelli risentiti degli sconfitti, consapevoli che quando si alzeranno gli altri non servirà a niente perché tanto dovranno scendere anche loro.
Io non posso farci proprio nulla ma il treno mi rende sociopatico. Perché mi ricorda tanto un carro bestiame e allora altro che preservare il mio spazio intimo.
E infatti si siede a fianco a me una signora ansimante, tanto che devo guardarla a lungo per convicermi che non abbia una zampogna nascosta da qualche parte e che il potente sbuffo che emette sia solo il suo respiro. Tiro la valigia verso di me e così le mie ginocchia si comprimono, con il sinistro che punta dolorosamente contro il sedile davanti.
Ma almeno sono seduto io. E Dean Martin intanto continua negli auricolari con "Everybody loves somebody sometimes…".
Grazie buon vecchio Dino, mio fedele compagno di viaggio. Sai sempre isolarmi da tutte queste voci sconosciute, mi aiuti a difendere il mio piccolo mondo, mi fai stare bene e…LOW BATTERY.
Adesso è davvero una tragedia. Ora sarà insopportabile perché oltre a dover vedere tutti questi estranei a stretto contatto sono costretto anche a sentirli.
Però riesco a non ascoltarli; se mi concentro e guardo fuori i prati, le case e gli alberi…Ma più aumentiamo di velocità meno dettagli riesco a cogliere e così mi trovo solo a fissare il vetro sudicio che mi dà la nausea.
Tiro giù la tendina, butto la testa indietro e, con gli occhi chiusi, provo almeno a fantasticare un po’.
Già perché se questo treno, invece di puntare dritto verso casa, corresse veloce giù, verso il mare, allora sarebbe tutta un’altra storia. E nella valigia non avrei vestiti da portare a lavare e libri per gli esami ma solo costumi da bagno colorati, pantaloncini e teli di spugna per andare in spiaggia.
Non è più fantasia. Ora ho sonno e i pensieri sfuggono al mio controllo. Il treno non c’è più e neanche tutta questa gente fastidiosa, antipatica. Niente più sedili, niente più ruote, niente più binari.
Sono sdraiato in riva al mare e il sole è piacevole, mi scalda ma non brucia, mi sta solo cullando.
Distesa accanto a me c’è lei che sonnecchia, in quel modo dolce come sanno fare solo i gatti e le ragazze innamorate, con quel sorrisino indecifrabile sulle labbra. E mentre le tengo la mano penso che meglio di così non potrei proprio stare.
Poi un brusio che non riesco a distinguere, che non capisco, e una mano che non è la sua che mi scuote un braccio.
Apro gli occhi e non vedo le nuvole o i gabbiani e nemmeno le onde. C’è solo un uomo calvo e sudato che con un tono a metà tra lo scocciato e l’asettico mi dice : "biglietto, prego".
Nelle tasche, confuso, cerco quello che vuole per allontanarlo il prima possibile.
Non mi piacerà mai viaggiare in treno.
Ma quando arriviamo?
...Continua?