sabato 27 dicembre 2008

Abraxas



Ricordo che pioveva forte. Nel mio letto, nel buio completo, il rumore delle gocce contro i vetri mi cullava come una dolce nenia. Poi improvvisamente si alzò un vento forte, ululante, e non sentii più lo scrosciare potente dell'acqua.
Mi addormentai profondamente e al mio risveglio una strana luce purpurea filtrava attraverso il sottile spazio tra le due pesanti tende, davanti alla finestra.
Pensai fosse mattino ma la sveglia sul comodino mi diceva che sbagliavo: mancavano ancora diverse ore prima dell'alba. Mi alzai e andai a scostare le tende: neve.
D'impulso afferrai la maniglia ed aprii la finestra.
Tutt'attorno un'immensa distesa bianca mi circondava lasciandomi spiazzato: i prati, i tetti delle case, il mondo. Una decina di metri sotto di me il monumento scuro del cavaliere stava con la sua lancia protesa verso il cosmo. Tutto era candido e silenzioso.
Dal cielo rossastro cadevano copiosi dei grossi fiocchi gelidi. Il vento mi sbuffava in faccia così violento e impetuoso da sembrare una lama che mi tagliuzzasse di continuo gli zigomi. Nonostante questa brutta sensazione l'atmosfera surreale della tormenta mi rapì gettandomi in uno stato che potrei definire di trance.
Feci, quasi senza volerlo, due passi avanti, uscendo sul balcone scalzo e in pigiama, ad afferrare la ringhiera gelida. Così, completamente vulnerabile ed esposto all'inverno, mi ritrovai a fissare nel vuoto quella specie di cascata di ghiaccio.
Potevo sentire il rumore d'ogni fiocco che cadeva al suolo, sullo strato di neve già depositata. Sul momento la cosa mi parve assolutamente naturale.
Una folata più gelida delle altre mi scosse un po' e pensai di rientrare e chiudere la finestra per tornare al caldo del mio riposo. Scoprii però con stupore di non potermi muovere. Fu una sensazione terribile: ordinavo ai miei arti un'azione ed essi si rifiutavano di obbedirmi. Ero paralizzato in quella posizione, come se i palmi delle mie mani fossero saldati al metallo gelido della balconata e le piante dei miei piedi incollate al granito del pavimento.
Mi concentrai pensando che la situazione mi stesse soggiogando e tutto fosse dovuto alla mia sola suggestione. Così mi rilassai il più possibile e tentai ancora di ritrarmi. Di nuovo non ottenni niente.
La paura si fece mia padrona. Mi pentii di avere scelto di vivere da solo in una casa tanto grande e solitaria. Ancor di più mi maledissi per aver preso come mia stanza da letto la più alta del palazzo.
A circa un centinaio di metri però, potevo vedere la casa vicina. Non sapevo chi ci vivesse ma parecchie volte, a tarda sera, avevo visto le finestre illuminate e delle ombre muoversi dietro le tende.
Mi stupii in verità (sebbene quello non fosse il momento più adatto) di come in diversi mesi nella mia nuova abitazione, non avessi mai avuto occasione di vedere i miei vicini.
Scacciai quel dubbio inutile e pensai che se avessi gridato abbastanza forte, in quella notte così silenziosa, avrei certo potuto svegliarli per chiedere loro aiuto.
Dunque trassi un profondo respiro e spalancai la bocca pronto a produrre l'urlo più forte che mai avessi fatto in vita. Questa volta andò anche peggio: dalla mia gola non usci alcun suono!
Non perché fossi improvvisamente diventato rauco. Era come se la voce mi nascesse nello stomaco ma si spegnesse prima di poter uscire fuori.
Ero perciò immobilizzato, solo ed incapace di chiedere aiuto. Ero ormai terrorizzato dalla possibilità di rimanere così per le restanti ore della notte e di morire assiderato in quella posizione tanto ridicola.
La tormenta intanto avanzava sempre più devastante e se non fossi stato così impalato avrei potuto anche svenire per il gelo. Tremavo in maniera convulsa dando il petto al vento.
Doveva essere passata più di un'ora dal momento sventurato in cui decisi di abbandonare il mio riposo. Iniziai a sentire la fatica ed il dolore per via di quelle condizioni tanto ostili alle quali pure non avevo modo di sottrarmi. La mia mente inizio a vacillare pericolosamente. Persi lucidità cominciando nel profondo a sospettare che si trattasse solo di un incubo. Il dolore svanì così come era arrivato e i miei occhi si chiusero lentamente senza che io potessi oppormi.
Non so dire quanto tempo rimasi incosciente ma sono certo che fu quella risata agghiacciante a risvegliarmi.
Quando riaprii faticosamente gli occhi vidi una macchia scura sul muro della casa di fronte. Osservando meglio capii che si trattava di una persona sul balcone; doveva essere certamente il mio misterioso vicino.
Le mie dita erano in parte congelate, i miei vestiti zuppi di acqua gelida, la mia pelle una lastra di vetro. Non c'è da meravigliarsi se a quella vista mi sentii sollevato e mi considerai ormai in salvo.
Mi sbagliavo enormemente.
Sebbene fra noi due ci fossero oltre cento metri di distanza ero sicuro che guardasse nella mia direzione e che mi avesse visto così sofferente. Quindi perché non correva in mio soccorso?
Stava semplicemente fermo, in piedi e con le mani dietro la schiena. Pensai che non avesse capito il pericolo nel quale da ore ormai mi trovavo.
Così, senza molte speranze in realtà, raccolsi le mie ultime energie per cercare di attirare la sua attenzione; respirai a fondo, mi rilassai il più possibile ed aprii la bocca. Mi meravigliai nel sentire la parola “aiuto” che usciva da me abbastanza forte perché egli potesse udirla.
All'improvviso la sua casa mi parve molto più vicina. Mi sembrò che la sua abitazione si fosse avvicinata molto alla mia. Ciò mi permise di guardarlo meglio. Indossava un abito completamente nero sul quale la neve che continuava a cadere pareva non volersi fermare. Il suo volto era di una vecchiaia innaturale e solcato da numerose rughe che gli conferivano un'espressione per niente rassicurante.
Dunque colsi senza possibilità di errore la sua risposta al mio appello: egli sorrise.
Lo fece in un modo tanto orrendo e cinico da farmi intendere quanto piacere producesse in lui lo spettacolo della mia agonia.
Di colpo l'edificio di fronte torno al suo posto, lontano. Il balcone era vuoto.
Trasalii quando percepii un rumore alla mia destra, una sorta di fruscio. Voltando la testa di lato, ma sempre inchiodato al mio posto, trovai l'uomo di prima al mio fianco.
Conscio ormai di non essere in un qualche sogno spaventoso, non seppi spiegarmi la sua comparsa improvvisa in casa mia. In pochi istanti non poteva certo aver percorso tutta quella strada.
Puro terrore fu quello che provai quando, sempre sorridendo in quel suo modo odioso, mi mise una mano sulla spalla. Lo sentii penetrare aggressivamente nella mia testa e parlarmi con mille voci differenti allo stesso momento senza schiudere le labbra. Le sue parole però non avevano alcun senso perché pronunciate in una lingua a me ignota o forse inesistente tra gli uomini.
A quel punto, con la mano libera, indicò un punto in basso.
Guardai dove voleva e mi accorsi di trovarmi con i piedi esattamente al centro di due cerchi concentrici emananti una luce bluastra molto intensa. Tra un cerchio e l'altro notai una serie di simboli che mai prima avevo visto, anch'essi luminosi.
Allora alzò la mano dal mio corpo e finalmente fui libero di muovermi.
Una gioia profonda mi pervase e, lasciando finalmente la ringhiera, lo abbracciai ringraziandolo di tutto cuore.
Il mio entusiasmo però non durò che pochi attimi. Incredibilmente, infatti, mi sentii sollevare dal pavimento e fluttuare nell'aria.
L'essere d'innanzi a me (perché, ora ne sono certo, non era umano) teneva le braccia stese lungo i fianchi e smise infine di sorridere. Muoveva le labbra sommessamente ma continuamente sussurrando parole nella lingua sconosciuta che già aveva usato poco prima dentro di me.
Ad ogni suono emesso io mi sollevavo un poco di più nell'aria, incapace di oppormi a quella forza maligna. Poi iniziai a muovermi verso l'esterno e, oltrepassata la balaustra, compresi d'un tratto le sue intenzioni ed invocai la sua pietà tra le lacrime. Ma egli prosegui nel suo mormorio, incurante delle mie implorazioni.
Quando fui sospeso in volo sulla statua del cavaliere, in mezzo al cortile, si udì un lamento più forte , agghiacciante; un istante dopo precipitai nel vuoto.
L'ultimo ricordo che ho è il mio sangue scarlatto che si sparse sulla neve candida, al suolo, dopo che la lancia di pietra del monumento mi trafisse il cuore, ferendomi a morte.
Da quel momento (non so dire quanto tempo sia passato) sono qui su questa spiaggia. Molti altri sono seduti sulla ghiaia umida e nerastra e fissano il mare. Il loro silenzio trasuda sofferenza e m'impedisce d'interrogarli sulle loro sventure; dentro di me però sento che ad accomunarci tutti è la violenza con cui la morte ci ha sorpresi.
Uno di loro, poco dopo essermi risvegliato qui, mi venne incontro porgendomi carta, penna ed una bottiglia di vetro trasparente. Lo interrogai chiedendogli dove ci trovassimo e chi egli fosse ma scosse semplicemente la testa e si voltò tornando a sedersi in contemplazione.
Il cielo è sempre nero e carico di nubi e le acque sono in perenne burrasca anche se non piove mai.
Non so se questo sia l'inferno ma voglio affidare poeticamente questo manoscritto alle spume salate. Spero che che le mie memorie giungano nel mondo dei vivi, che un giorno qualcuno possa leggere della mia incredibile e terribile fine; forse questo, in qualche modo, servirà a portarmi via da qui e a farmi trovare finalmente pace.
...Continua?

venerdì 14 novembre 2008

Ha da passà 'a nuttata


Come va, bellezza?
Oggi è una di quelle giornate in cui normalmente avrei preso i miei libri e sarei venuto da te.
Avremmo parlato un po' delle solite cose e poi io sarei andato in sala, a studiare, sul tavolo di legno.E tu avresti sorriso mentre guardavi la tv in cucina ed ascoltavi me ripetere la lezione ad alta voce. Per te. Ti ricordi, bellezza?
Quando ti portavo a fare la spesa al supermercato e tu mi dicevi "ci metto cinque minuti" e poi, dopo mezz'ora passata ad aspettarti in macchina, entravo anche io e ti trovavo ancora alla prima corsia a pesare la frutta e col carrello vuoto.
Quando la sera, d'estate, venivo a trovarti e ci sedevamo in balcone a goderci il fresco, sulle sedie di plastica e tu mi tenevi la mano e mi chiedevi quando avrebbero costruito quel supermercato.
Quando ero bambino e Natale era ancora una festa, con quel salone enorme pieno di gente e l'albero addobbato che arrivava al soffitto.
Quando di domenica venivamo a pranzo da te, e tu facevi tutte quelle cose fantastiche, e, dopo aver divorato di tutto, io ti chiedevo se eri stanca e tu mai una volta che mi rispondessi di sì.
E quando mi facevi le tue "ambasciate" e mi davi la mancia sempre sorridendo, tu che facevi miracoli con cinquecento euro al mese, roba che nemmeno un contabile...
Quando quella volta che dovevamo partire per Napoli e abbiamo perso l'aereo siamo rimasti 6 ore ad aspettare in aeroporto e ti abbiamo portata da Mc Donald's (e ti era anche piaciuto)!
Quando ti accompagnavo in chiesa per la Messa e poi venivo a riprenderti, tu mi riempivi di baci per ringraziarmi e ti vantavi di me con le tue amiche.
Quando parlavi con chiunque in napoletano, anche fosse stato un pastore del Tirolo perchè tanto "chello 'o capisce", dicevi tu.
Quando sei diventata bisnonna e quel nipotino dolcissimo con la erre moscia era diventato la tua passione tanto che la mia Chiara ormai era diventata "ChiaVa" per te.
La prima volta che ci siamo visti, io non me la posso ricordare, ma sono sicuro che senz'altro sarai impazzita di gioia per il primo nipote maschio.
E poi l'ultima volta che ci siamo visti, che quella me la ricordo bene. L'ultima volta ti ho salutata ma tu non hai risposto e non hai nemmeno sorriso. Allora ho tolto il velo bianco e ti ho messo la mia spilla, poi ti ho baciato la fronte ed ho pianto.
Ero pieno di rabbia, mi sono messo in un angolo ed ho stretto forte mia mamma mentre aspettavamo che ti portassero via.
Ora quando ti penso io non sento un vuoto ma un abisso, mi sento mutilato.
E' la consapevolezza che non ti vedrò più che mi devasta, che non potrò più giocare con te o farti una carezza, che nessuno mi parlerà più come facevi solo tu.
Ma se un giorno ci ritroveremo e passeggeremo ancora insieme sottobraccio, parleremo dei bei tempi. Ed allora ti darò un bacio, ti abbraccerò forte e ti dirò :"ti ricordi, bellezza?".
...continua?

venerdì 10 ottobre 2008

Nebbia


Quanto è bello essere fatalisti!
Mi piace pensare che tutti gli errori fatti lungo la via, un giorno, acquisiranno un qualche senso che prima non si riusciva a vedere.
Nel frattempo non smetto d'interrogarmi sulle mie scelte che passo dopo passo mi hanno portato dove sono ora: al punto di partenza.
Arrivano dei colpi che uno non si aspetta e oltre a farti male ti lasciano anche pieno di dubbi e perplessità.
Vorrei capire se sto diventando paranoico o se invece non sia arrivato il momento di aprire gli occhi e farsi due conti.
Il fatto è però che i lividi ci sono (anche se non si vedono) e, come sempre, si tira avanti con la tristezza del clown che ha il sorriso dipinto in faccia mentre dentro lacrima.
In questi giorni di tragedie finanziarie, di allarmismi continui, di gente che non vede l'ora di gridare allo scandalo, mi sento una sorta di anomalia atavica che non vuole prendere parte alla discussione.
Intendiamoci: se il mondo finisse domani mi spiacerebbe parecchio.
Credo però che non mi verrebbe da piangere o urlare all'ora del giudizio, semplicemente penserei che "doveva andare così".
Comunque domani sarà solo un altro giorno di "nuvole e sole", sempre con te ad afferrarmi per un braccio tutte le volte che inciampo (che se non ti avessi sempre qui a questo punto sarei senza denti a forza di sbattere la faccia a terra...).
Il Domani invece non sarà qui, in questo continuo a sperarci, e il mondo nuovo che ci aspetta sarà abbastanza per continuare, qualche volta, a sorridere davvero.
Quindi no problem, sono pronto ad andare in scena.
Smile!
...Continua?

martedì 16 settembre 2008

Bleeding in the moonlight


A volte mi sembra di camminare scalzo, al buio, su un pavimento coperto di cocci di bottiglia, in una stanza chiusa e maleodorante.
Ci metto tutta l'attenzione possibile ma, inevitabilmente, riesco solo a farmi molto male.
Allora mi siedo in un angolo e, sempre nell'ombra, mi soffermo a decidere se mettermi a piangere per il dolore oppure incazzarmi con quello che ha fatto quel casino.
Di solito finisce che rimango rannicchiato nel mio angolino a sanguinare in silenzio.
Questa volta però l'ho spinto sui vetri illudendomi che servisse a qualcosa.
Anche se si è tagliato come me, temo che tra breve lascerà di nuovo dietro di sè i pericolosi resti del suo passaggio ed io continuerò a ferirmi.
Comunque per ora mi fa compagnia: immobile, in piedi, invisibile.
Così lo guardo (o meglio, lo immagino) e scoppio in lacrime.
Forse la bottiglia gli è solo caduta e non voleva farmi del male ma comunque io non riesco più a camminare.
Siamo bloccati nelle tenebre, l'interruttore è troppo distante.
Mi restano soltanto i raggi di luna che filtrano attraverso le crepe delle finestre sprangate.
Ma io l'accenderò quella fottuta luce, con o senza il suo aiuto.
...Continua?

lunedì 21 luglio 2008

Abroad


Un’altra terra, il mondo nuovo. Altri spazi, altre persone, un’altra lingua.
Qualche timore c’è ovviamente ma se penso alla gioia della scoperta mi sento pieno di buone aspettative.
Questi “omini grigi” ci hanno spinto alla fuga verso il nostro primo Altrove, con poche risorse e nessuna certezza.
Non sappiamo cosa ci aspetta e la sola cosa di cui possiamo essere sicuri sono gli imprevisti.
Però qui non c’è più niente.
Scappate lontano, anche voi! Prima di diventare aridi senza neanche accorgervi di esserlo.
Certe volte serve più l’incoscienza che la razionalità. Ora che l’abbiamo capito siamo pronti a non tirarci indietro.
Forse sarà una svolta, forse no, ma di sicuro sarà una bella scossa ed un confronto con la vita vera.
Non voglio più essere quello che ero.
Voglio vedere, conoscere, imparare; ma non a memoria. Non m’importa più delle teorie di qualche arrogante luminare.
Ho sete di esperienze mie, nostre!
Voglio leggere solo quello che mi va, voglio saltare da una realtà ad un’altra, voglio faticare quanto basta a guadagnare quei quattro soldi per essere felice.
Alle ville, ai macchinoni, alle posizioni sociali rinuncio con un bel sorriso. Davvero.
Diventare un affermato professionista non mi renderà felice. Mi spiace solo aver impiegato tanto tempo per capirlo.
Forse la nebbia si sta davvero diradando perchè riesco a vedere un po’ più in là di quanto non abbia mai fatto.
Credo che un sogno diventi una possibilità quando lo si desidera almeno in due.
Presto ne avrò la conferma.

See you in another life...

…Continua?

giovedì 10 luglio 2008

Turno di notte


Guarda il cielo e gli sembra di volare. Un sussulto nelle tenebre. Fissa quella luna a tre quarti che pare fissarlo a sua volta. Distoglie lo sguardo per un momento, un battito di ciglia.
Volge il capo in basso e scruta nel buio del prato cercando i flash delle lucciole. Chiude gli occhi e inspira profondamente l’aria fresca d’autunno, fingendo che sia una lieve brezza marina.
Poi, improvvisamente, stacca le mani dalla ringhiera e apre gli occhi. Guarda l’orologio al polso e i numeri fluorescenti indicano che è ora di andare.
Rientrato dal terrazzo scende in garage. L'auto è già pronta, con tutto il necessario sotto il piano dello spazioso bagagliaio, al posto della ruota di scorta. Come sempre.
Per strada non c'è quasi nessuno, tutti sono incollati ai televisori per la partita. Meglio così, perchè lo aspetta oltre un'ora di guida e a lui non piace infrangere i limiti di velocità.
Arrivato sul posto scende dall'auto che lascia accesa e va ad aprire il lucchetto della pesante catena che chiude il cancello di ferro. I due grossi cani da guardia lo riconoscono e non emettono rumori mentre gli si fanno incontro. Lui li respinge ordinando loro di tornare a posto. Risale in macchina e prosegue oltre il cancello facendo qualche metro. La parcheggia dietro alcuni massi in modo che non sia visibile dalla strada. Quindi torna a chiudere il cancello e s'incammina.
Gli è sempre piaciuto questo posto isolato ma allo stesso tempo abbastanza facile da raggiungere.
Scendeno i gradini ricavati nella terra battuta illumina il suolo con la sua piccola torcia elettrica; non ci sono case attorno e di notte è buio pesto. A stento intravede la sagoma della baracca di cemento in mezzo al fitto del boschetto. Qui ha voluto sistemare una porta solida con tanto di serratura blindata, per evitare inconvenienti.
Apre ed entra, richiudendo subito alle sue spalle. Nel buio completo si ferma e ascolta. La carogna sta ansimando e dev'essere spaventato a morte. Ma non abbastanza.
Tira fuori i fiammiferi e accende l'antica lampada a petrolio sul ripiano alla sua destra. Una luce fioca illumina la piccola stanza senza finestre.
Sulla vecchia sedia da barbiere inchiodata al centro del pavimento, c'è l'uomo completamente nudo e imbavagliato, con le mani e le caviglie saldamente legate al metallo sottostante. E' molto sudato ma per il resto in discrete condizioni. Dopo tutto sono passate solo poche ore da quando sta lì.
Portarcelo non era stato troppo difficile. Lo seguiva da mesi e lo aveva avvicinato fuori da casa sua, al ritorno da una partita di bowling. Con la scusa di un informazione stradale, mostrando una cartina della città, lo aveva attirato verso la sua auto. Quello era stato così gentile da sporgersi con la testa fin dentro, attraverso il finestrino. In quel momento lui, velocissimo, l'aveva stordito con il taser che teneva dietro la carta. A quel punto l'animale si era afflosciato contro lo sportello e, nella strada deserta, l'aveva raccolto e caricato nel baule, legato e imbavagliato, per poi andarlo a depositare nel suo posticino speciale.
Ora stanno lì, lui in piedi e l'altro forzatamente seduto.
Lui a guardarlo con schifo e odio, l'altro con terrore e interrogazione.
Aveva pensato di toglierli il bavaglio per sentirlo un po' gridare (prima insulti d'ogni tipo e poi implorazioni) fino a che non si fosse messo a piangere. Di solito questa cosa riesce a motivarlo, lo rende più lucido e concentrato. Ma questa volta no.
La rabbia che sente bruciare dentro è sufficiente. E' schifato, nauseato da quell'individuo e il suo unico desiderio è di ridurlo al più presto soltanto ad un triste ricordo.
Poggia a terra la sacca che si è portato e la apre lentamente, osservando il verme che inutilmente si divincola in modo sempre più furioso.
Estrae un trapano a batteria, un grosso coltello da caccia, un paio di cesoie e una piccola fiamma ossidrica portatile.
Alla vista degli oggetti l'altro prova ad urlare, senza emettere alcun suono. La paura è così forte che, non trovando alcuno sfogo, gli fa perdere ogni controllo e una pozza di urina inizia ad allargarsi a terra.
Lui coglie la cosa come un segno e comincia il lavoro.
La prima coltellata è un fendente superficiale sull'addome flaccido, dal quale inizia a sgorgare un po' di sangue. La seconda è più profonda e gli apre uno squarcio della lunghezza di una spanna sul quadricipite della coscia sinistra. Esce molto sangue e s'intravedono i tessuti muscolari.
Lui osserva il rosso acceso che luccica sulla lama d'acciaio. Guarda il viso che comincia a sbiancare e poi lo fissa nuovamente negli occhi dove trova la solita richiesta di pietà che da tempo ha imparato ad ignorare.
Così lascia l'arma a terra e prende il trapano. Gli buca prima il ginocchio sinistro, poi il destro e dopo poco entrambi i polsi. L'animale sviene per il dolore. Ma non è così che deve andare.
Lo sveglia gettandogli dell'acqua in faccia e subito quello prende ad agitarsi più di prima.
Perciò passa alla fiamma ossidrica ed inizia a bruciarlo un po' ovunque: le braccia, il petto, le piante dei piedi, il collo.
Ad ogni ustione, ad ogni sussulto di dolore, lui si sente un po' meglio, purificato.
Ora è del tutto incosciente e con tutto il sangue perso difficilmente potrà riprendersi ancora.
Stufo di quel patetico essere riprende il coltello e glielo pianta dritto nel cuore. Dopo poche convulsioni finalmente è finita ma lui resta lì a rigirare la lama ancora un po', giusto per essere sicuro.
Estrae il coltello dal petto e prende le cesoie. Con un taglio netto amputa il pene dal corpo ormai senza vita e lo sistema in un barattolo che ripone nella borsa. Dà un'occhiata al pavimento, completamente ricoperto da un misto di sangue, urina e acqua.
Slega il cadavere e lo infila in un grosso sacco di tela.
E' molto forte ed allenato ma gli costa comunque un certo sforzo portare il sacco fino alla fossa che ha scavato tra gli alberi, due giorni prima. Lo butta dentro e comincia a coprirlo di terra. Quando ha finito, il cielo inizia a schiarirsi e, nella luce dell'alba, ammira la sua ultima fatica vicino agli altri tre mucchi della stessa grandezza.
Un paio di giorni dopo ascolta il giornale radio:
"Ancora in azione il presunto omicida che potrebbe aver già fatto diverse vittime. E' stata infatti recapitata alla questura di... la quarta busta contenente un pene umano. Il macabro feticcio era accompagnato da poche righe stampate di cui le autorità non hanno rivelato il contenuto. La polizia è impegnata nelle ricerche del responsabile e degli eventuali cadaveri..."
Nel buio della sua casa riflette ed è compiaciuto per due motivi: si sente al centro dell'attenzione e, soprattutto, sa che non lo prenderanno mai. Sorride.

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venerdì 4 luglio 2008

Qui non è Hollywood


"E' pazzesco come a volte si finisca per cacciarsi nei guai. Come non si riesca nemmeno a dare un senso all'accaduto, e allo stesso tempo non si riesca a pensare ad altro.
Alla fine uno non riesce più a combinare nulla di buono.
Forse deriva dal fatto di prendere la vita troppo sul serio."
(Stanley Kubrick)

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domenica 22 giugno 2008

Un colpo di calore




Qui, con la fronte contro la persiana, alla disperata ricerca di un po’ d’aria fresca, che sembra d’essere in Borneo.
Pensavo all’esame che si approssima ora che fa tanto caldo. Che tortura…
Ormai però la mia testa è piena di onde, di sabbia, di gabbiani e di sole. Soprattutto di tantissimo sole.
La pioggia, quella seria, non la vedremo per un po’ e i temporali estivi sono solo illusioni. Quando passano stai peggio di prima.
Allora tanto vale provare a buttarsi nel mondo ora che l’arsura ci ha travolti in pieno (puntualissima il 21 giugno), proprio quando nessuno ci pensava più.
Ho notato che ci lamentiamo tutti sempre e comunque, alla ricerca di qualcosa che non abbiamo in questo momento. Si tratti della pioggia, del sole o di un milione di euro, non fa differenza.
Però in effetti mi accorgo che da soddisfazione lagnarsi per il troppo caldo, anzi lamentarsi in genere.
Sarà pure inutile ma dopo che hai speso quei cinque minuti ad inveire contro il tempo o a prendertela con l’omino del TG, stai un po’ meglio, anche se continui a sudare ed a incazzarti.
Credo che sarà una bella estate, magari non per tutti.
Vorrei essere un po’ più sensibile rispetto a quello che mi succede attorno ma mi sento troppo debole, assente. In questo periodo mi alzo dal letto e sono più stanco della sera prima.
Sono giornate in cui basta pensare un po’ più del dovuto e ci si sente già sudati, affaticati.
Bisognerebbe stare sugli scogli a contemplare il nulla dentro il mare, con un po’ di vento salato sulla faccia, senza problemi e senza cellulare.
Un giorno sarà così, ma non per le vacanze. Sempre.
Comunque il costume e la crema solare sono pronti, vado a chiudere la valigia.

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lunedì 9 giugno 2008

Destinazione Costa Rica



Un momento d’indolenza quanto potrà mai durare?
Pensavo fosse tutto a posto e invece, ancora una volta, sono al punto di partenza.
L'unica differenza è che adesso non sono solo e quindi si fa tutto più sopportabile.
Il problema di fondo però non cambia; non si va avanti qui, è come stare nelle sabbie mobili dove più ti agiti più ti senti sprofondare verso il basso e, anche se lo sai che non dovresti, non puoi smettere di dimenarti perché hai troppa paura.
Il solito merdosissimo circolo vizioso insomma.
Vorrei capire se sono io il fattore problematico, la variabile impazzita, oppure è tutto il resto che funziona male.
Si può fare qualcosa d’impegnativo pur senza impegnarsi, certo. Ma alla fine cosa resta e soprattutto che senso ha?
Il fatto di avere trovato qualcuno con le mie stesse angosce, le mie stesse folli aspettative, è la sola consolazione mentre attraverso questo infinito corridoio pieno di porte aperte su stanze colme d’incertezze, dubbi e paure.
Credo che troveremo l’uscita insieme, un giorno, ma continuo a chiedermi se ci riusciremo prima di entrare nella camera sbagliata.
Il timore è che possiamo crollare, che il mondo possa penetrarci prima di riuscire a scappare via, facendoci diventare parte di quello che in questo momento siamo orgogliosi di non riuscire a capire.
Certo, non mi sforzo per niente. Sono estremamente passivo, compiaciuto anche, nel mio (ormai nostro) ciclico fare niente.
Ma siccome (contrariamente a quello che ci diciamo ogni minuto per convincerci) non siamo assolutamente padroni della nostra vita, questo stand by rischia di esploderci tra le mani.
E allora vai, dopo l’ennesimo voto imbarazzante, a promettermi, a giurarmi vergognosamente, che la prossima volta farò meglio.
E allo stesso modo dopo ogni dolce, dopo ogni maledetta schifezza ingurgitata, ad odiarmi e dirmi che però da domani sarò capace di controllarmi, mentendo a me stesso fino a sentirmi un traditore.
E intanto la media scende e il peso sale. In silenzio.
Nonostante il disastro c’è gente che mi vuole davvero bene, che mi vede forse meglio di quel che sono.
Questa non è depressione, per quanto possa sembrarlo.
Questo è il grido, lo sfogo di una persona felice in modo anomalo, che tutti giorni ( e anche qualche notte) si sveglia e si fa un’overdose di sms.
Sono le parole di un folle innamorato che ogni momento ringrazia (non si sa chi) perché ora può vivere nell’incanto di te.
E’ l’eterna promessa consapevolmente vana di diventare un po’ migliore.
Queste mie buone intenzioni sprecate te le dedico, sono tutte tue.
Voi leggete pure, se vi va.

...Continua?

venerdì 30 maggio 2008

Allerta meteo




Piove. Ancora.
Ed è sempre più bello.
Mi fa sentire strano, forse anche un po' sadico, il fatto di rilassarmi ascoltando le gocce che s'infrangono contro i vetri, dentro le canali.
In effetti, questa che mi fa stare così bene, è la stessa acqua che poche ore fa, ad un centinaio di chilometri da qui, ha ucciso e distrutto. Però...
Dovrei desiderare che smetta, dovrei sperare di svegliarmi tra poche ore (ammesso che riesca a prendere sonno) con il sole che filtra tra le persiane della camera, sul soffitto. Sarebbe normale aspettarselo, siamo a giugno ormai.
Invece no.
Voglio illudermi che quest'anno l'estate non arrivi. Vorrei che si dimenticasse di passare di qua. Vorrei che sul Piemonte continuasse a regnare questa strana primavera e tutta questa pioggia ci accompagnasse direttamente in autunno, mentre aspettiamo sotto una coperta.
Insomma vorrei tanto accelerare un po' le cose per vedere cosa mi aspetta.
Mi sento bene ora, anche in questi giorni che i miei demoni sono tornati e picchiano forte perchè anche loro, come me, hanno capito che da solo non so più stare.
Piove.
...Continua?

domenica 18 maggio 2008

Campioni d'Italia!



Questa settimana non c'è stato tempo. Solo un flash.
Grazie ragazzi!
...Continua?

domenica 11 maggio 2008

Alta frequentazione



Adesso parte. Perché non parte? Ecco che parte.
Questa volta sono stato furbo: mi sono infilato negli ultimi due posti "ciechi", nella fila destra della carrozza, con il mio bel trolley a fianco, così nessuno si siederà accanto a me.
Illuso. Dovrei saperlo ormai che la partenza è ingannevole, è alla seconda stazione che salgono tutti (ma proprio tutti) e allora comincia il delirio.
Gare non dichiarate per conquistare un posto a sedere, spallate neanche troppo dissimulate, grida, sistemazioni e poi gli sguardi; quelli fieri di chi si è impadronito del suo agognato posticino e quelli risentiti degli sconfitti, consapevoli che quando si alzeranno gli altri non servirà a niente perché tanto dovranno scendere anche loro.
Io non posso farci proprio nulla ma il treno mi rende sociopatico. Perché mi ricorda tanto un carro bestiame e allora altro che preservare il mio spazio intimo.
E infatti si siede a fianco a me una signora ansimante, tanto che devo guardarla a lungo per convicermi che non abbia una zampogna nascosta da qualche parte e che il potente sbuffo che emette sia solo il suo respiro. Tiro la valigia verso di me e così le mie ginocchia si comprimono, con il sinistro che punta dolorosamente contro il sedile davanti.
Ma almeno sono seduto io. E Dean Martin intanto continua negli auricolari con "Everybody loves somebody sometimes…".
Grazie buon vecchio Dino, mio fedele compagno di viaggio. Sai sempre isolarmi da tutte queste voci sconosciute, mi aiuti a difendere il mio piccolo mondo, mi fai stare bene e…LOW BATTERY.
Adesso è davvero una tragedia. Ora sarà insopportabile perché oltre a dover vedere tutti questi estranei a stretto contatto sono costretto anche a sentirli.
Però riesco a non ascoltarli; se mi concentro e guardo fuori i prati, le case e gli alberi…Ma più aumentiamo di velocità meno dettagli riesco a cogliere e così mi trovo solo a fissare il vetro sudicio che mi dà la nausea.
Tiro giù la tendina, butto la testa indietro e, con gli occhi chiusi, provo almeno a fantasticare un po’.
Già perché se questo treno, invece di puntare dritto verso casa, corresse veloce giù, verso il mare, allora sarebbe tutta un’altra storia. E nella valigia non avrei vestiti da portare a lavare e libri per gli esami ma solo costumi da bagno colorati, pantaloncini e teli di spugna per andare in spiaggia.
Non è più fantasia. Ora ho sonno e i pensieri sfuggono al mio controllo. Il treno non c’è più e neanche tutta questa gente fastidiosa, antipatica. Niente più sedili, niente più ruote, niente più binari.
Sono sdraiato in riva al mare e il sole è piacevole, mi scalda ma non brucia, mi sta solo cullando.
Distesa accanto a me c’è lei che sonnecchia, in quel modo dolce come sanno fare solo i gatti e le ragazze innamorate, con quel sorrisino indecifrabile sulle labbra. E mentre le tengo la mano penso che meglio di così non potrei proprio stare.
Poi un brusio che non riesco a distinguere, che non capisco, e una mano che non è la sua che mi scuote un braccio.
Apro gli occhi e non vedo le nuvole o i gabbiani e nemmeno le onde. C’è solo un uomo calvo e sudato che con un tono a metà tra lo scocciato e l’asettico mi dice : "biglietto, prego".
Nelle tasche, confuso, cerco quello che vuole per allontanarlo il prima possibile.
Non mi piacerà mai viaggiare in treno.

Ma quando arriviamo?

...Continua?

domenica 4 maggio 2008

Premi start!



Si comincia.
Prima di tutto grazie Doc, che col tuo bel blog mi hai dato l'input (e un po' d'invidia!) per iniziare.
Detto questo, anche Teo entra nel futuro!
Forse non era proprio il giorno più adatto per farlo, considerato che l'Inter, da copione, ha appena perso il derby in maniera rovinosa e lo scudetto vacilla pericolosamente (come il televisore che ho percosso violentemente al 94').
Comunque mi sentivo ispirato e, visto che non capita così spesso, meglio non perdere tempo.
Non ho la minima idea di quali direzioni possa imboccare questa cosa: non sono mai stato nè organizzato nè continuo e sono sicuro che non inizierò ad esserlo ora.
Mi rallegra il fatto di aver aperto questa finestra, magari un finestrino, da dove sporgere la testa ogni tanto per condividere col mondo i miei pensieri.
E se al mondo non importasse una fava delle mie riflessioni poco male: il bello di essere logorroico è che puoi parlare un sacco, anche quando sai benissimo che nessuno ti ascolta!

...Continua?