sabato 12 dicembre 2009

Un brusco risveglio


Quell'istante fu così violento, così rapido che non gli lasciò il tempo di capire se fosse esistito veramente o se invece la sua vita fino a quel momento non fosse stata solo il lungo, unico sogno di qualcun altro.
Riprese conoscenza e per un momento ebbe paura di essere diventato cieco. Poi capì di essere semplicemente al buio. La cosa non lo tranquillizzò molto.
Era sdraiato, con la schiena e le gambe nude a contatto con una superficie gelida, ipotizzò che fosse metallo.
Provò a mettersi a sedere ma con la testa urtò la parete sopra di lui. Iniziò a respirare affannosamente, a urlare in modo scomposto. Dove si trovava? Possibile che...
Il freddo si fece più pungente, in breve insopportabile. Prese a tremare convulsamente mentre continuava a gridare graffiandosi la gola.
Strisciò in avanti sulla schiena ma anche in quella direzione trovò poco spazio. Calciò più forte che poté, con le pianti dei piedi nude e frustate dal freddo. Niente.
Allungò le braccia dietro la testa e con le mani incontrò la quarta parete metallica.
In un sussulto fu costretto ad accettare di trovarsi in una bara.
Non sapeva come ci fosse finito. Molte volte si era chiesto quanto avrebbe dovuto essere orribile venire sepolti vivi. In quel momento seppe che mai, neanche lontanamente, aveva immaginato un terrore così puro e paralizzante.
Iniziò a sudare, ed ogni goccia di liquido che filtrava dalla sua pelle diventava immediatamente una piccola lacrima gelata. Era come se tutto il suo corpo piangesse mentre lui non riusciva a fare altro che urlare e urlare, sempre più forte.
D'improvviso serrò la bocca in un morso. Si toccò le cosce, poi l'inguine, le spalle. Era completamente nudo, in quella trappola sconosciuta.
Pensò ad una camera ardente. Gli venne in mente quel suo vecchio zio, come addormentato, con la pelle giallognola, quasi avvolto dalla seta che ricopriva l'interno della bara.
La seta... Tastò ancora una volta il metallo liscio attorno a sé, come per verificare di non essersi sbagliato. Non trovo niente di morbido. E poi non aveva mai saputo di nessuno che venisse seppellito nudo.
No. Lui doveva trovarsi al passaggio precedente. Il suo corpo indifeso, il metallo, il freddo. Quella poteva essere solo la cella frigo di un obitorio. Si erano certamente sbagliati, lo avevano scambiato per morto e lo avevano messo lì dentro. Pensò a tutti i telefilm polizieschi che conosceva e subito gli venne da toccarsi gli alluci per cercare un cartellino con su scritto il suo nome.
Lo spazio angusto non gli permise questa operazione e tutto quel che riuscì a fare fu toccarsi un piede con l'altro, solo per scoprire che non c'era nessun cartellino.
Il freddo cominciò a farsi insistente, ad inebriarlo in modo graduale. Riprese a gridare più per sfogo che per chiedere aiuto. Dopo le prima urla infatti aveva realizzato, senza riuscire completamente ad accettarlo, che non ci fosse nessuno nelle vicinanze in grado di sentirlo.
Anche questa considerazione non contribuì a calmarlo. Se appena aveva scoperto dove potesse trovarsi questo non cambiava il fatto che fosse imprigionato senza sapere il perché. Non ricordava nulla dopo quel lampo verde che lo aveva sorpreso in camera da letto.
D'improvviso un forte prurito allo sterno interruppe il filo dei suoi pensieri. Si grattò con violenta decisione senza ottenerne un gran beneficio. Il prurito mutò infatti in un bruciore poco intenso ma insistente che gli partiva dallo stomaco per arrivargli fino alla base del collo. D'istinto allungo una mano sul ventre. Poco sopra l'ombelico percepì sotto i polpastrelli uno strato di pelle in rilievo. Era come quando ci si graffia e poi cresce una piccola crosta lungo l'escoriazione. Qualcosa di similmente rigido, solo un po' più spesso. E risalendo con le dita trovò che quella sorta di accumulo di epidermide proseguiva ininterrotto, a dividere in due parti il tronco, fino all'altezza del pomo d'Adamo.
Si chiese se non fosse quella specie di taglio la causa della sua perdita di coscienza. Certo a ben pensarci era una ferita strana, magari un po' troppo regolare.
Benché sempre più intontito dal freddo e spaventato dalla situazione, non poté impedire al proprio cervello di mettersi a lavorare. L'associazione, che per un attimo si sforzò di ignorare, generò nella sua mente un'unica, secca parola. Autopsia.
A quel punto non se la sentì nemmeno di urlare. Il silenzio si fece denso e soffocante come una colata di spesso miele. Il buio restò quel che era, solo un po' più sconosciuto se possibile. Un'autopsia su una persona viva. Lo escluse. Però...
Se davvero lo avessero scambiato per morto? Se qualche medico incompetente (ma davvero un macellaio) non avesse rispettato le ore stabilite per dichiararlo deceduto e avesse pensato di aprirlo un po' in anticipo rispetto alla prassi? Poteva essersi accorto del danno, averlo richiuso in fretta e aspettare che morisse lì, nella sua celletta, per evitare guai.
In quel cubicolo tutto gli parve possibile.
Così possibile che appoggiò due polpastrelli premendo sulla carotide e quello che sentì fu... Proprio niente. Provò ancora e ancora, senza risultati. Poi passò ai polsi, al torace. Nessun segno. Pareva proprio che il suo cuore si fosse fermato.
Sgomento, non capì. Com'era possibile che il suo cuore avesse smesso di battere, che portasse i segni evidenti di un'autopsia e che pure continuasse a vivere, ad essere cosciente di esistere?
Eppure, a parte il solito lampo verde, non ricordava altro. Non ricordava il suo nome o la sua casa. Anzi, via via che i minuti passavano non sapeva più cosa fossero un nome od una casa. Quel che perdeva in lucidità lo acquistava in fame. E di colpo non si sentì più spaventato o inquieto ma solo vorace come un animale appena svegliatosi da un lungo letargo, consapevole esclusivamente di doversi nutrire il più possibile, il prima possibile.
E con la fame cresceva la rabbia di non potersi liberare da quella prigione. E ormai tutte le sue energie si concentravano su quelle pareti che lo dividevano, questo sì lo sapeva sicuramente, da un mondo esterno dove potersi finalmente sfamare. E batteva con i piedi e con i pugni chiusi in una morsa serrata nel vano tentativo di distruggere l'odiato contenitore.
E proprio nel mezzo della sua ribellione un rumore intervenne a calmarlo. Uno scatto, un filo di bianco ai suoi piedi e poi la luce potente che lo investiva sorprendendolo.
Venne tirato verso l'esterno. Un volto paffuto e incredulo lo scrutava dall'alto. L'uomo in camice bianco che lo aveva liberato gli disse qualcosa che non riuscì a capire e che comunque non gli interessava. Poi si piegò verso di lui offrendogli il collo nudo, quello sì, pulsante di vita. Finalmente poté mangiare. Addentò quella carne rosea e calda. E dopo pochi morsi si sentì rinascere. L'uomo che aveva aperto la cella si afflosciò sulle piastrelle bianche che, come il camice, si tinsero di rosso. Lui si levò dallo scomparto ormai aperto e si portò a sua volta a terra. Con avidi morsi staccò brani e brani di pelle, di muscoli, di grasso, fino a che non divennero brandelli. Quando sentì le ossa scricchiolare sotto i denti si alzò in piedi barcollando. Non era sazio.
Allora si incamminò sugli arti malfermi lasciandosi alle spalle la carcassa devastata. I suoi passi trascinati disegnarono piccole strisce scarlatte sul pavimento candido. Uscì da quell'edificio troppo illuminato per i suoi deboli occhi.
Sulla strada la notte lo salutò in una luce molto più tenue ed accogliente. Altri come lui, a decine, arrancavano in cerca di cibo. Sollevò la testa annusando l'aria. In lontananza le luci della città lo attiravano invitanti. Si leccò le labbra ancora umide di sangue e, ingordo di carne, si avviò speranzoso tra i suoi simili.
...Continua?

sabato 14 novembre 2009

Un pezzo d'antiquariato


Gli specchi non sono amichevoli. E nemmeno rassicuranti. Non per le immagini che rimandano. Il più delle volte, la gente che ci si riflette è troppo distratta dal rumore del mondo per riuscire davvero ad accettare quel che vede in quelle lastre di vetro e argento.
No, davvero. Il vero pericolo degli specchi non è in quello che rilasciano. Ma in quello che trattengono.
Per quel che riesco a ricordare l'antica specchiera di legno scuro è sempre stata in casa nostra. Solenne, a dispetto della sua mole non proprio monumentale, ci guardava vivere dal suo posto, al fondo del lungo corridoio cieco.
Certo i decenni l'avevano pur segnata: i tre scompartimenti nella parte inferiore avevano perso (chissà quando e chissà come) i loro sportelli, mostrando senza pudore il loro ventre chiaro e puzzolente di muffa. Pendeva poi un po' sul lato destro, come una vecchia stanca che si appoggiasse al muro per riprendere fiato.
E naturalmente lo specchio. Lo specchio era lungo circa un metro, in modo che quando ci si mettesse davanti inquadrasse non più che dalla vita alla testa di una persona. Il fondo era tutto puntinato di scuro e verso le parti periferiche alcune macchie più estese lo avevano reso, in quelle aree, del tutto inservibile.
Una volta, da ragazzino, chiesi a mio padre perché semplicemente non se ne sbarazzasse per comprarne uno nuovo, magari più ampio e funzionale.
Mi guardò come se lo avessi appena avvisato della mia imminente volontà di sposare una mucca da latte. Poi fece un gran sospiro e, con l'aria di chi sta cercando di sopprimere un qualche istinto violento, mi spiegò che quel mobile era stato dato a mia nonna da sua madre, che l'aveva ricevuto a sua volta da sua madre e così via...
Insomma, stando a mio padre, quella vecchia carcassa avrebbe potuto avere tranquillamente più di duecento anni. Così quando i miei genitori mi lasciarono per sempre, la casa passo a me e con essa il vecchio specchio.
Tutto accadde in una notte, la più adatta ovviamente.
Tanto per stare in compagnia decisi di invitare un vecchio amico a cena.
Il sole, che non era esattamente sorto al mattino, stabilì di concludere presto quella sua giornata malata. Così, prima che me ne rendessi conto, la notte cadde come un unico grumo di sangue nerastro, abbracciando in un velo di nebbia gelata la casa e il bosco tutt'intorno.
Di lì a breve giunse il mio invitato. Cenammo con calma e abbondantemente, senza far attenzione alle bottiglie di vino nero che ci lasciavamo dietro, una dopo l'altra.
Finita la cena ci spostammo in salotto per bere un digestivo e fumare dei sigari che il mio amico aveva portato con sé. Restammo parecchio a parlare di ricordi e speranze disattese, di dove la vita avesse portato, nostro malgrado, ciascuno di noi, così lontano da dove avevamo pianificato.
Quando la pendola sopra le nostre teste batté un solo, secco rintocco il mio ospite si alzò in piedi di scatto, in un movimento così inaspettato da farmi trasalire.
-Io so d'un rituale- disse- da compiere questa notte, tra mezz'ora esatta.
-Un rituale?- mi incuriosii- Di che tipo?
-Una volta all'anno, in questa notte, i morti ci possono parlare.
Pensai subito che l'alcol fosse il vero responsabile di quell'affermazione. Guardando bene il mio compagno però, mi sembrò che fosse piuttosto lucido, così lo invitati a proseguire.
-Sembra che le anime dei defunti aspettino questa notte per tornare a parlare con i vivi. Per fare degli scambi...
-Che genere di scambi?
-Loro possono allungare la vita terrena. In cambio di qualcosa per sé.
Ero sempre stato piuttosto scettico rispetto alla possibilità di un'anima vivente in eterno quindi quel discorso mi parve privo di senso anche se in linea con la pittoresca personalità del mio invitato.
La noia mi spinse però a fargli un'altra domanda -e che cosa servirebbe per questo rituale?
-Poche cose: uno specchio abbastanza grande, tre lumini e... una goccia di sangue. Una per ognuno di noi.
Il pensiero del sangue mi orripilava non poco, anche si trattasse di una sola, misera goccia.
Ma a quel punto mi ero deciso ad andare fino in fondo così andai in cucina a recuperare tre piccoli lumini cilindrici da un armadietto e poi in bagno dove trovai un piccolo ago da siringa.
Con questi oggetti lasciammo il salotto dirigendoci verso la secolare specchiera al fondo del corridoio buio.
Raggiunto il mobile passai al mio amico i tre lumini. Lui li dispose sul pavimento a formare i vertici di un triangolo invisibile, grande abbastanza da contenerci entrambi. Il triangolo era rivolto verso lo specchio, come una sorta di freccia.
Il mio amico mi invitò a spegnere tutte le luci della casa. Lo feci prontamente e poi tornai verso di lui senza troppe difficoltà, evitando ogni ostacolo a memoria. Mi sistemai alla sua sinistra, in piedi, al centro del triangolo.
-Ora silenzio- mi intimò- è quasi il momento.
In quell'istante vidi la scena con gli occhi di un osservatore esterno e non riuscii ad evitare di trovare il tutto decisamente ridicolo. Due uomini di mezza età fermi in piedi, al buio, di fronte ad uno specchio.
Il filo dei miei pensieri fu però interrotto dal bagliore di un fiammifero con il quale il mio ospite accese il primo dei tre lumini, quello posto alle sue spalle, sul lato destro.
Poi contò sommessamente fino a sessanta, fece brillare un secondo fiammifero e si chinò per infuocare il cero alle mie spalle.
Ripeté il conteggio e infine diede luce anche al lumino davanti ai nostri piedi.
-L'ago, per favore.
Trassi il piccolo involucro sigillato dalla tasca dei pantaloni e glielo porsi.
-La tua mano.
Non senza uno sforzo di volontà sollevai la mano destra e gliela offrii, aperta e vagamente tremante.
-La sinistra.
Non obiettai e, senza capire la differenza, sollevai l'altra mano che il mio ospite si apprestò a bucare. Il pizzico che sentii sul polpastrello dell'indice mi lascio stranamente indifferente, forse perché la mancanza di luce mi aveva impedito di seguire l'operazione.
-Adesso bucherò anche la mia. Poi, quando sentirai il rintocco della pendola, non prima, verserai una goccia del tuo sangue sulla fiamma davanti a noi. Io farò esattamente lo stesso.
Annuii semplicemente. Non che potesse accorgersene. Ma il suo tono cominciò ad inquietarmi e la voce sembrava avermi del tutto abbandonato.
Così tesi l'orecchio in direzione del salotto e, appena udii il mezzo rintocco, feci esattamente come mi aveva ordinato.
Il nostro sangue cadde unito sulla fiamma senza spegnerla ma anzi alimentandola fino a farla diventare un lingua di fuoco che si innalzò fino ai nostri occhi.
Guardavo la fiamma danzare alta quanto una persona, cercando di convincermi che il mio amico si stesse prendendo in qualche modo gioco di me.
Poi un volto apparve candido nello specchio che, fino a quel momento, aveva riflesso solo il buio trafitto dall'esplosione di fuoco dal cero sul pavimento.
La fiamma tornò repentinamente alle sue dimensioni normali. Il volto cinereo, nient'altro che un cranio calvo, coperto da una sottile pellicola di epidermide, tesa come la pelle di un tamburo; gli occhi scuri e profondi come due fosse, ci guardava da dietro il vetro dello specchio.
Da dentro lo specchio.
Mi sentivo pietrificato. Un folata gelida e fetida ci avvolse, come l'alito di mille cadaveri.
Mi bastò osservare il profilo del mio amico per capire quanto inaspettato fosse per lui quell'avvenimento. Forse inizialmente aveva voluto giocare all'apprendista stregone ma la cosa era chiaramente molto lontana dal suo controllo.
Fece per arretrare e uscire dal triangolo ma una forza invisibile lo risospinse verso il centro. Allora mi scossi e lo imitai; fu come se delle mani gelide mi costringessero violentemente in avanti.
Disperato fissai il pavimento, senza il coraggio per fronteggiare il volto che ancora si stagliava nello specchio. Poi fu proprio il nostro nuovo compagno a parlare, con una voce che sembrò provenire dal fondo di un pozzo pieno d'acqua, come una sorta di gorgoglio.
-Chi turba il mio riposo?- Tuonò.
Il mio compagno di sventura non sembrò troppo intenzionato ad aprir bocca. Riguardo a me poi, le mie labbra si erano come incollate tra di loro. In bocca il sapore pastoso del terrore.
Mi costrinsi a sollevare lo sguardo senza tuttavia fissarlo direttamente su quella strana entità.
Vidi che nelle orbite cave si erano accese due fiamme di un rosso vivissimo, forse ad indicare la rabbia che quell'essere provava per via della nostra mancata risposta.
-Chi turba il mio riposo?- Ripeté la domanda in un urlo molto potente. I vetri di alcune finestre esplosero nel corridoio alle nostre spalle facendo penetrare in casa la notte bianca di ghiaccio. Nessuno di noi due si voltò a guardare. Non volevamo dare le spalle allo specchio.
Finalmente il mio amico si decise a parlare. In un sospiro pronunciò il suo nome e poi il mio.
Ci furono alcuni secondi di silenzio. Poi il volto aprì di nuovo la bocca scheletrica.
- Vi avviate alla fine del vostro percorso mortale. Siete già oltre la metà della vostra esistenza corporea. Ma io posso far vivere uno di voi per cento anni ancora.
-C-come?- Chiesi io
-Prendendomi l'altro.
Lo disse così, asciuttamente. Se non fosse stato privo di labbra e di muscoli potrei dire che avesse sorriso.
Il mio amico voltò la testa per guardarmi.
-No. Non voglio- disse- lasciaci solo andare!
-Questo non è possibile. Siete stati voi, convocandomi qui, che avete stretto il patto. Se non uno, vi avrò entrambi.
Il mio ospite vacillò. Io pensai di non aver capito bene. Uno di noi avrebbe dovuto morire. L'altro vivere ancora cento anni. Come potevo crederci?
Provai a scagliarmi contro lo specchio, con l'intenzione di distruggerlo. Ma la stessa forza che mi aveva sospinto in avanti mi costrinse anche indietro, questa volta molto più violentemente.
Il mio compagno osservò la scena. Poi, evidentemente combattuto, diede un ultimo sguardo a quello che era diventato il padrone dei nostri ultimi minuti e si rivolse a me
-Scusami- mi disse- ma non me la sento di morire questa notte.
Detto questo mi si scagliò contro con le braccia spalancate, nell'evidente intenzione di immobilizzarmi.
Io però fui più veloce di lui e, forse per via della mia bassa statura, gli sfuggii facilmente sebbene in quello spazio angusto. Mi abbassai afferrandogli le caviglie a tirai con tutta la forza che avevo. Cadde violentemente sulla schiena e, sbattendo forte il capo sul pavimento, svenne.
Ancora ansimante per l'azione guardai il corpo esanime, provando un misto di rabbia e senso di colpa.
Aveva provato a consegnarmi a quella cosa. Certo l'aveva fatto per salvare se stesso ma comunque in quel momento non riuscii a perdonarlo. Sacrificarmi per colui che aveva cercato di uccidermi era fuori questione.
Lo sollevai di peso, non senza sforzo, e lo sporsi verso lo specchio. La superficie riflettente si increspò, come fosse fatta d'acqua, il volto scheletrico divenne trasparente. Poi lasciai andare il traditore che attraversò il vetro. In un certo senso fu come se ne venisse aspirato. Quando anche i piedi, sollevatisi da terra, furono inghiottiti in una sorta di nebbia, il volto bianco riprese consistenza.
-Avete fatto la vostra scelta. Lui ora e mio. Tu vivrai un secolo ancora. Ricorda però: conserva lo specchio. Se si romperà anche tu ti unirai a me.
-Come... Un secolo?
Il volto annuì gravemente.
-Tra cento anni tornerò a reclamare un'altra anima, la tua. O quella di un altro, se vorrai vivere ancora. Se lo vorrai, avrai la vita eterna.
Detto questo il teschio scomparve e lo specchio tornò a riflettere la mia immagine per un istante. Poi le fiamme si estinsero sui ceri e persi conoscenza, nel buio.
Quando il vento freddo del mattino penetrò dai vetri infranti, mi svegliai sulle lastre di marmo del corridoio gelido. Nell'offuscamento che va dal sonno alla veglia pensai subito ad un incubo. Mi stropicciai gli occhi ma i tre lumini sul pavimento non scomparvero, né le finestre tornarono intatte.
Corsi all'ingresso e il cappotto del mio trapassato amico era appeso all'appendiabiti, dove l'avevo lasciato la sera prima. Sul tavolino del salotto i piccoli bicchieri dal liquoroso fondo nero erano due così come i mozziconi di sigaro nel posacenere a fianco, tondi etozzi come due falangi ustionate.
Non avevo sognato.
Il soprabito lo bruciai il giorno dopo. I giornali parlarono della sua scomparsa. Quando vennero ad interrogarmi dissi solo di non averne più saputo nulla dopo che, la sera della cena, mi salutò congedandosi.
Gli anni passarono e, mentre il mondo mutava rapido attorno a me e la morte mieteva il proprio paziente raccolto tra i miei conoscenti, io non invecchiai di un secondo da quella sera.
Ho compiuto centosessantanni lo scorso marzo.
Oggi è il 31 di ottobre. Di cento anni dopo. La specchiera non sta più in fondo al corridoio ma in soffitta, al riparo da ogni possibile urto.
Poco fa ho disposto tre lumini sul pavimento polveroso ai piedi del mobile, a formare un triangolo. In una tasca dei jeans ho riposto un piccolo ago epidermico, sigillato nella sua plastica blu. Nell'altra una piccola rivoltella. Mi servirà tra non molto.
La ragazza immobilizzata alla poltrona si è svegliata e mi guarda mugugnando mentre, seduto al tavolo del salotto, scrivo queste righe. Il bavaglio non le permette di urlare anche se non è troppo stretto da impedirle di respirare. Non posso permettere che soffochi.
L'ho scelta tra molte, ieri notte, sulla statale che porta in città. Tra quelle che vendevano il loro corpo mi è parsa la meno attaccata alla vita, la più priva di speranze.
Lei è giovane. Non ha vissuto un secolo e mezzo. Non sa che la vita è come una droga: più ne hai e più te ne serve, per sentire qualcosa.
La pendola ha battuto un rintocco. Lo specchio sopra le nostre teste ci attende. Sembra che ora si sia ripresa completamente. Forse non capisce, forse vorrebbe andare. Per tranquillizzarla le farò vedere la pistola. Poi le dirò che, se farà quel che voglio, la lascerò libera. Ovviamente mi dispiacerà spingerla dentro il vetro, sebbene non creda che qualcuno la piangerà mai.
E poi, come disse un mio vecchio amico una volta, non me la sento di morire questa notte.
...Continua?

lunedì 19 ottobre 2009

Ore 2.02 (e 14 secondi)


Noi anime inquiete viviamo nella delusione dell'illusione.
E' come cercare di ingabbiare una belva indomabile. Come voler chiudere il vento in un barattolo.
Costretti qui, in questi pochi ripetitivi chilometri. Incasellati in schemi che ci soffocano senza manifestare alcun senso apparente.
Quando ci sarà dato di guardare più lontano? Quando avremo il coraggio di rompere il vetro che ci separa dalla libertà che tanto ci sta a cuore?
Dipende solo dalla nostra volontà oppure c'è dell'altro?
Fino a che punto le nostre nobili intenzioni saranno capaci di spingerci, prima di sbattere la faccia contro il muro della realtà così stantia che ogni giorno ci tocca affrontare?
Più mi sforzo di capire, di prevedere e di pianificare, e più, nella nebbia dei miei vaneggiamenti, si fanno limpide altre miriadi di domande.
Le risposte si sono perse o non sono mai state formulate.
La situazione è questa: le possibilità infinite; le scelte reali troppo poche.
E' solo una lucida farneticazione. Lo stralcio di un diario di viaggio che attende fremente di essere scritto.
"Tra vent'anni sarai più deluso dalle cose che non hai fatto che da quelle
che hai fatto. Quindi liberati e salpa dal porto sicuro. Cattura gli alisei nelle tue
vele.
Esplora. Sogna. Scopri".
...Continua?

sabato 10 ottobre 2009

Riflessi d'ottobre


Finalmente ha piovuto.
Non ci speravo quasi più. Quest'estate prolungata stava iniziando a darmi sui nervi.
La gente che si accalcava, sudata, i tram pieni zeppi di persone irritate ed irritanti. Come fosse agosto, mentre sullo schermo del cellulare leggi "ottobre" e ti chiedi se non si sia per caso inceppato qualcosa, se l'addetto al cambio delle stagioni magari, questa volta, si sia dimenticato di girare la manopola del termostato...
Ho aperto l'armadio e la giacca di velluto marrone mi ha guardato ammiccante. Le ho sorriso e poi l'ho tirata giu dall'appendiabiti. Me la sono infalata ansiosamente sopra il pigiama ed ho spalancato la finestra.
In estasi ho sporto la testa fuori.
Gli alberi per fortuna non si sono fatti sorprendere. Al primo cenno di calo della temperatura hanno iniziato a cambiarsi i vestiti. Adesso si pavoneggiano con loro chiome accese, sgargianti. Sembra un incendio di colori.
Nell'aria c'è quell'odore di umido, di funghi, di foglie e sterpaglie bruciate, forse quasi di caldarroste. Qualche cane abbaia non so a che cosa, il sole si nasconde pallido dietro le nuvole d'avorio.
Sono felice. E' di nuovo autunno.
...Continua?

domenica 9 agosto 2009

Quarantanove


Settima settimana.
Forse l'ultima.
Abbiamo visitato Cork. E' stato un weekend di shopping e B&B molto piacevole. La citta' merita e direi che e' piu' irlandese di Dublino.
I rapporti con la famiglia sono logori e la voce dell'Italia e' sempre piu' difficile da ignorare.
Forse non siamo riusciti a trovare degli Irish in Irlanda.
Forse e' soltanto vero che non c'e' posto migliore di casa.
...Continua?

lunedì 3 agosto 2009

Punto di rottura


Sesta settimana.
Alla pazienza c'e' un limite. Alla maleducazione non esiste fine.
Ormai la volonta' di tornare a casa e' lampante e non so dire quale sia la forza che ci spinga a restare ancora un po', a resistere contro noi stessi.
Forse si tratta solo del desiderio di visitare ancora un paio di posti sconosciuti, forse la paura di qualcosa di simile alla sconfitta o forse solo l'ansia del confronto diretto con queste persone.
Comunque sia la spia della riserva e' accesa. Riserva fissa.
...Continua?

domenica 26 luglio 2009

Step by step

Quinta settimana.
Per male o bene che possa andare abbiamo superato il traguardo del mese lontano da casa.
La cosa mi fa sentire molto adulto e indipendente anche se ai primi di settembre faremo rientro alla base.
Siamo passati con il bus esattamente sotto un arcobaleno enorme (senza purtroppo poterci fermare per cercare il folletto con la pentola d'oro).
Le pecore abbondano e i gabbiani non sono da meno.
I giorni scorrono piu' velocemente del previsto. Prossime mete previste Cork e Galway.
Ed e' gia' ora di prenotare il volo di ritorno.
...Continua?

domenica 19 luglio 2009

Per fortuna abbiamo il mare



Quarta settimana.
Sempre piu' incerti proseguiamo un giorno dopo l'altro.
Abbiamo capito chiaramente cosa possiamo aspettarci da queste persone ma non ce ne preoccupiamo.
La cosa importante pero' e' un'altra: abbiamo visto le foche! Un sacco di foche.
Non in un acquario. Al porto, a due metri di distanza e senza nessun vetro tra noi e loro.
Davvero emozionante. Sono animali piuttosto socevoli e decisamente intelligenti. Di quelli che staresti a guardarli per un'ora senza stufarti.
E' bastato poco tempo in loro compagnia per raddrizzare una settimana spiacevole.
Del resto basta la foto sopra per capire.
...Continua?

domenica 12 luglio 2009

Non è tutto oro...


Terza settimana.
La nostalgia comincia a bussare alle porte delle nostre teste confuse.
Le persone si rivelano per quelle che sono: dopo le gentilezze iniziali è emersa la vera natura di questo rapporto di lavoro. Per la prima volta mi sono sentito scoraggiato dalla mia condizione di straniero all'estero in una famiglia che non è la mia.
Ma quattro persone non fanno una nazione e il sogno d'Irlanda ancora resiste.
Resta vivo l'entusiasmo per i posti spettacolari che avremo l'occasione di visitare e l'orgoglio di averci comunque provato.
Stringiamo i denti in vista del giro di boa del primo mese lontano da casa.
Che strana estate, piena di vento...

...Continua?

domenica 5 luglio 2009

Temple Bar

Seconda settimana.
Dopo quattro giorni di duro lavoro ( ho scoperto quanto sia alienante passare otto ore a copiare dati su excel) siamo partiti alla volta di Dublino.
La capitale si visita in un giorno appena. La sera pero' c'e' Temple Bar.
E' una via lunga neanche duecento metri. Ma ogni ciottolo e' pieno di musica, di birra e di colore.
Siamo stati in un pub cosi' pieno che la gente stava in piedi all'uscita solo per poter sentire la musica dal vivo e vedere altri come loro ballare in cerchio.
Il cantante era un tipo grosso e pelato, con una voce profondissima. Tutti si accalcavano con le loro pinte in mano nell'allegria che dipendeva dall'alcol soltanto in minima parte.
E' difficile replicare a parole quell'atmosfera ma Temple Bar non e' solo un quartiere da Venerdi' notte, e' un posto dove sentirsi a casa in mezzo a persone sconosciute.
Se capitate da queste parti non perdetevelo, vi restera' dentro.
...Continua?

domenica 28 giugno 2009

Walkin' through the cliffs


Prima settimana.
Abbiamo camminato un sacco, qualcosa come 20 Km in tutto! Fa decisamente piu' caldo rispetto a quanto avremmo potuto aspettarci, tanto che siamo riusciti a bruciarci sotto il sole...
Domani si comincia sul serio. Buona estate a tutti!
...Continua?

lunedì 18 maggio 2009

Uno in più


Pazza Inter amala!
...Continua?

sabato 9 maggio 2009

C'è gente che va in Irlanda


Poco più di un mese e prenderemo quota. Sembrava impossibile ad un certo punto ed invece, grazie alla solerzia di miss Giaveno, l'Isola Smeraldo presto non sarà più un sogno.
Come dicono i vecchi "è già passato un anno" e riusciamo di nuovo a raggiungere il nostro amato EIRE. Questa si che è felicità pura.
E adesso sotto con gli esami, sperando che i folletti ci assistano in questo rush devastante.
Il prossimo post magari lo scriveremo già da Delgany, Co. Wicklow!
Chissà che non avremo trovato una pentola piena d'oro in fondo all'arcobaleno.
In Irlanda tutto è possibile.
Slàn agat!
...Continua?

venerdì 10 aprile 2009

Il cuore del mollusco


Il mondo si divide in due categorie: i medici ed i molluschi.


Il medico

Il medico è quello che non sbaglia mai un colpo. E' quello calmo quando il mondo attorno è agitato. Quello che quando lo starter spara in aria per dare il via alla gara è già in vantaggio perchè vede il traguardo e tutti gli ostacoli sul percorso.
Il medico è quello che quando inizia una cosa la porta sempre a termine senza cedimenti.
Non ha dubbi e se li ha è capace di sedarli quel tanto che basta per scavalcarli e continuare a galoppare: “Il dubbio non esiste e se non esiste non può costituire un ostacolo. Il mondo non mi aspetta. Io devo correre”.
Il medico non ha mai paura perchè non sa cosa la paura sia. Egli è sicuro dei suoi mezzi e basta a se stesso. Sempre.
Così come non concede spazio al dubbio il medico non contempla l'errore come possibilità della propria natura. Perchè se sbaglio esiste, sarà certamente un prodotto del mondo circostante. Il mondo che ha paura.
Così il medico tira dritto senza rallentare e senza voltarsi mai.
Per mantenere questo ritmo il medico s'impegna seguendo il metronomo che è la strana gerarchia delle sue priorità. Al vertice sta la necessità di arrivare. Dove non è dato saperlo.
Il modo è mettere sempre più strada tra sè e la partenza. Questo vale qualunque sacrificio. Le vittime fatte durante il tragitto sono accidentali, collaterali. Il medico non sbaglia dunque non ha senso di colpa. La volontà non c'entra. Si tratta di motivazione, di ambizione.
Se il medico incontra un altro medico non rallenta per guardarlo ma lo segue con la coda dell'occhio mentre lo sorpassa. Questo gli è sufficiente per stabilire di essere migliore dell'altro.
Quando è proprio indispensabile il medico va a dormire ma si sente in colpa per il tempo che sta sprecando. Se non avesse un corpo fisico, se fosse solo una macchina infaticabile, allora si che sarebbe davvero perfetto.
Il medico comunque non sogna ma pianifica la prossima giornata. Quando si sveglia sa già che direzione imboccare, correndo un po' di più per recuperare il tempo perso.
Ad ogni passo il medico consolida il suo posto in società. E' amato e ammirato dalla comunità. Quando passa, gli applausi compiacenti della folla lo caricano di insana energia.
Quando il suo corpo è consumato il medico raramente se ne accorge. Le sue membra sono stufe di correre e lui non ha ancora raggiunto il traguardo. Si trova incredulo a dover rallentare.
La vergogna diventa enorme quando la folla smette di applaudire.
Per la prima volta prova l'infelicità in maniera consapevole. Così, guardandosi allo specchio, si convince di non aver fatto niente di utile.
Affranto si gira, per la prima volta, in cerca delle sue orme; la partenza non si vede, è vero. Ma non si vede nemmeno altro. Tutto ciò che il medico si è lasciato alle spalle è una strada vuota eppure in disordine.
Nella sua testa tutto si fa limpido, agghiacciante.
Nel suo cuore... Non ha cuore. Non c'è stato tempo, bisognava correre.

Il mollusco
Il mollusco non ha certezze.
Egli sa quel che gli altri gli dicono ma non ci crede poi tanto.
Il mollusco è divorato dai dubbi e dalle paure. Il mollusco fatica ad avere fiducia nei suoi mezzi, figurarsi nelle altre persone.
Quando lo starter spara il mollusco è già in ritardo e vede le schiene degli altri che si allontanano. Egli non corre, arranca. E arrancherà per la sua intera esistenza.
Il mollusco ci pensa mille volte prima di fare qualcosa. Ha sempre paura di farsi del male o di farne a qualcun altro.
In realtà il mollusco non fa mai del male a nessuno ma anzi, spesso prende un sacco di botte senza sapere il perchè.
Il mollusco dorme molto e sogna anche di più. Spesso chiude gli occhi per fuggire da quel mondo che lo spaventa troppo.
I sogni servono al mollusco per stabilire le sue mete. Non che abbia un traguardo prefissato, per carità, però vorrebbe andare lontano anche lui, nel suo piccolo.
Al risveglio il mollusco è confuso e spesso sbaglia strada. Quando imbocca la via giusta è facile che cambi idea, torni indietro e si metta su una strada nuova, che gli sembra più adatta, non migliore.
Il mollusco non ha prestigio in società; quando passa la gente mugugna oppure lo ignora.
Quando il mollusco incontra un altro mollusco lo guarda a lungo, incantandosi. Poi risolve di essere inferiore. Il mollusco non prova invidia ma ammirazione.
Alcune volte però capita che il mollusco ne trovi un altro affine a lui. Allora si uniscono ed iniziano a sognare insieme.
Quando due molluschi si uniscono non è che smettano di arrancare. Solo iniziano a farlo insieme e pian piano hanno meno paura, diventano meno dubbiosi.
La meta di uno diventa di entrambi. I due diventano un mollusco solo.
Quando il mollusco non ne può più di arrancare si siede. Non gli dispiace riposarsi un po' perchè sa di avere fatto tanto.
Non ha bisogno di guardarsi indietro. Con le spalle rivolte alla strada fatta guarda fiducioso verso il futuro.
Nella sua testa si fa strada, per la prima volta, l'idea di non essere fatto di ossa.
Nel suo cuore la consapevolezza diventa felicità perchè è certo che non diventerà mai un medico.
...Continua?

giovedì 26 marzo 2009

Aprile, dolce dormire...

Giusto per non perdere l'abitudine. Quattro righe inutili.
Sta per arrivare (secondo fonti autorevoli) il mese più sonnolento dell'anno. In realtà mi sento già ampiamente in letargo. Però si sta proprio bene: non troppo caldo, non troppo freddo. E un sacco di passeggiate.
Si comincia a parlare seriamente di fughe estive oltre confine; siamo già parecchio elettrizzati!
Non c'è spazio per malinconie o sguardi alle spalle, il che è piuttosto raro in questo blog.
Comunque il cielo è troppo azzurro per non essere fiduciosi. Sorridete gente, finalmente è primavera!
...Continua?

lunedì 9 febbraio 2009

Ballata dei sogni perduti


Acqua gelata su strade bagnate,
pioggia argentata su vite dannate.
Corvi tra l'erba, presagi nefasti;
gente in riserva, lontana dai fasti.

I have been happy - tho' but in a dream.

Molti in affanno, qualcuno sorride,
come un inganno che unisce e divide.
Le gocce dal cielo, stordite nel vento,
spostano il velo ed inizia il lamento.

I have been happy - tho' but in a dream.

Perduti, lontani, nascosti in un posto,
i sogni terreni non hanno più visto
la via per tornare nei cuori delusi
di chi li ha scacciati con gli occhi ben chiusi.

I have been happy - tho' but in a dream.

E dubbi e incertezze tormentano i giorni,
mendaci carezze di falsi ritorni.
Si aprono gli occhi, si chiudon le porte:
leggendo i tarocchi si spera più forte.

I have been happy - tho' but in a dream.

Ma quando una coltre avvolge la mente
qualcuno va oltre, qualcuno si pente.
E per i secondi la sorte è nel pianto
che chiama la morte e il suo lugubre canto.
...Continua?

lunedì 26 gennaio 2009

Niente


Notti senza sonno e di seguito giorni offuscati. Senza nulla da dire in particolare e dunque perché scrivere?
Perché no?
Mi affanno nel trovare risposte che non esistono a domande mal poste.
La realtà è invece che la sola risposta può forse essere il fato. Il che è di per sé un paradosso, se ci si pensa un momento. Come può infatti il destino, per sua natura imprevedibile, essere fonte di una qualunque indicazione?
Dando poi per scontato che nel destino si voglia credere.
Io, ad esempio, sono molto fatalista e penso fermamente (e fieramente anche) che non possiamo discostarci più di tanto dai solchi, binari, entro i quali corriamo.
La cosa può, in prima battuta, risultare molto avvilente; certo che non essere padroni delle proprie scelte e delle loro conseguenze, dunque non poter decidere della propria vita, non è il massimo.
Questa condizione ci accomunerebbe alle foglie d'autunno sbattute qua e là nel vento gelido o al massimo a delle cavie in balia della volontà di un qualche sperimentatore.
Però io credo fortemente nel butterfly effect come in una forza che ci sfugge, capace di governare tutte le cose.
Penso che purtroppo non siamo noi a decidere.
Infatti se è sicuro che tirando una martellata abbastanza potente contro una finestra possiamo romperne il vetro, allo stesso modo non possiamo prevedere quali saranno le conseguenze di questo nostro gesto ma solo ipotizzarle.
Potremmo tagliarci una mano con le schegge, uccidere un passante nella strada sottostante con un grosso pezzo di vetro appuntito o semplicemente dover far riparare la finestra.
Certo possiamo evitare di rompere il vetro.
Ma poniamo, per assurdo, di essere chiusi in una stanza dalla quale non possiamo uscire, dove c'è una fuga di gas costante e potente; la sola finestra a nostra disposizione, la salvezza, è bloccata e impossibile da aprire. Però abbiamo il nostro martello ed il nostro vetro.
Certo possiamo decidere, anche in questo caso. Decidere di non fare niente per evitare ciò che seguirebbe la rottura e morire asfissiati dentro la stanza. Rompere il vetro o morire.
Ma quali conseguenze deriverebbero allora dalla nostra morte? Potrebbe ad esempio esplodere l'intero edificio per il nostro mancato intervento e così potremmo aver causato la morte di più persone ignare di tutto. Ancora punti oscuri, lontani dalla nostra pianificazione.
Io romperei decisamente il vetro tornando, appunto, a non poter prevedere gli esiti della mia martellata ma comunque continuando a vivere e a far vivere (ma questo, ovviamente, è solo un punto di vista, una scelta).
Quindi il nostro mondo è imperfetto e non ci possiamo fare proprio niente.
Potrebbe forse una benevola entità superiore e perfetta permettere queste incongruenze nell'uomo e nelle cose umane? O bisogna sempre accontentarsi del libero arbitrio come risposta?
Dunque se non siamo noi e non è neanche Giove, è o no il caos puro, semplice ed ineluttabile?
Perciò sono giunto alla mia personalissima conclusione che spesso sia meglio, molto meglio, evitare di agitarsi, dannarsi, per tutto quello che non meriti realmente la propria apprensione (davvero pochissime buone cose) perché tanto tutto il resto ci sfuggirebbe di mano comunque.
Non si tratta di un inno al lassismo e non credo nemmeno di cercare una giustificazione alla mia pigrizia patologica. Dico solo “take it easy”, tutte le volte che è possibile.
Non è pessimismo ma solo una constatazione.
Se mi guardo alle spalle, le scelte che ho reputato sicuramente giuste in un particolare momento, mi hanno spesso portato un sacco di sofferenza o ad altre scelte corrette solo in apparenza.
Al contrario, le vie sbagliate, quelle sconsigliate da tutti, hanno finito per condurmi alle gioie più grandi ed alle persone migliori.
Dunque, concretamente, cosa possiamo determinare nelle cose che facciamo? Quando possiamo dirci preventivamente sicuri e certi che da A derivi B, senza possibilità di errore?
La vita è così aspra, così velenosa e cattiva certe volte, che ho deciso di correre meno ed osservare di più. Magari riesco ad evitare di dover rompere troppe finestre.
...Continua?